Storia del sake: dalle origini ai tempi moderni

Il sake (酒), anche chiamato erroneamente sakè, è probabilmente la bevanda giapponese più famosa al mondo. Quando parliamo di bevanda alcolica, però, non ci riferiamo a un distillato (whisky) o a un liquore (limoncello) e nemmeno propriamente a un fermentato (birra) o a un vino. E’ più una specie di unione di queste ultime due tipologie… Possiamo comunque dire, senza sbagliare, che appartiene a una categoria tutta sua e leggendo la storia del sake vi renderete conto del perché.

In realtà, quello che noi chiamiamo sake è un particolare vino di riso conosciuto in Giappone come nihonshu (日本酒 “alcol giapponese” o “liquore giapponese”) in quanto in giapponese la parola sake significa semplicemente “bevanda alcolica”, con leggere differenze di significato in base alla regione dove il termine viene utilizzato.

Secondo le leggi sugli alcolici in Giappone, il sake è denominato seishu (清酒, “liquore limpido”) ma solitamente questa terminologia non viene mai utilizzata nel linguaggio comune. Gli ingredienti del sake sono pochi e semplicissimi: riso, acqua e il fungo aspergillus oryzae, chiamato anche koji (麹), che è il principale responsabile della fermentazione e della saccarificazione del riso durante il processo di preparazione.

Storia del sake

Quando si parla della storia del sake c’è da dire che non esiste una data precisa riguardo la nascita del sake e anche le teorie sulle sue origini sono molteplici. Qualcuno sostiene che il processo di fermentazione del riso abbia avuto luogo inizialmente in Cina, nell’area del Fiume Azzurro, nel quinto millennio avanti Cristo, per poi giungere in Giappone. Altri invece sostengono che tutto sia partito sempre dalla Cina ma nell’area del Fiume Giallo, durante il periodo di regno della dinastia Shang (dal XVII al XI secolo a.C.).

Un’altra teoria, invece, fa risalire le origini del vino di riso giapponese al terzo secolo d.C. direttamente in Giappone. Nel testo storico cinese “Cronache dei tre regni”, e più nello specifico nel Libro di Wei, si parla infatti del popolo giapponese che danza e beve alcol. In questo periodo, quando è iniziata la coltivazione del riso in umido, la fermentazione e le muffe avrebbero avuto luogo in seguito alla combinazione dei due elementi. Quello che ne risultò, con l’aggiunta di castagne, miglio e ghiande, è stato il primo sake ed è chiamato kuchikami no sake (口噛みの酒, “sake masticato in bocca”) perché gli ingredienti venivano masticati e poi sputati in un tino a fermentare.

La masticazione era essenziale perché grazie alla ptialina gli enzimi presenti nella saliva iniziavano il processo di saccarificazione (conversione in zucchero) degli amidi e da lì aveva luogo la fermentazione. Sicuramente il risultato non è quello che conosciamo noi oggi ma lo stesso processo di masticazione si ritrova anche nella preparazione della chicha sudamericana, una bevanda alcolica preparata dal mais.

La scoperta del koji

Quello che noi conosciamo come vero sake è invece nato molto probabilmente nell’VIII secolo d.C., durante il periodo Nara. Grazie alla scoperta del koji, il fungo aspergillus oryzae, utilizzato in seguito anche per la preparazione di amazake, miso, natto e salsa di soia, la masticatura divenne inutile ai fini della fermentazione.

Questa muffa converte l’amido presente nei chicchi di riso in zucchero e il riso in questo stadio viene chiamato kome-koji (米麹, riso di malto). In seguito all’aggiunta dello shubo (酒母, lievito) gli zuccheri presenti nel composto si convertono in etanolo e il tasso alcolico del sake sale sensibilmente (18%-25% per vol.). Qui sta la differenza tra il sake e le altre bevande alcoliche, in quanto il riso subisce contemporaneamente più di una fermentazione, a differenza di vino e birra, dove la fermentazione è spesso difficoltosa e il volume di alcol massimo è inferiore (circa 15%).

Col passare del tempo il sake divenne sempre più raffinato e di qualità e raggiunse una popolarità tale che fu istituito un organismo per la sua preparazione addirittura nel palazzo imperiale di Kyoto, l’antica capitale dell’impero giapponese. Questo significava la creazione di una nuova figura professionale per la preparazione del sake, ovvero quella del tōji (杜氏). Oggigiorno il tōji è molto rispettato nella società giapponese, al pari di musicisti e pittori.

Il sake era utilizzato soprattutto durante cerimonie religiose festival di corte, con la produzione che fu monopolio esclusivo del governo fin quando templi e monasteri non iniziarono a produrlo per conto loro, diventando il principale centro di produzione dei cinque secoli seguenti.

Il boom della produzione nel 1868

Durante la Restaurazione Meiji del 1868 ci fu un’apertura legale verso tutti quelli che avevano le conoscenze e i fondi necessari per iniziare la produzione del sake. In un anno le fabbriche aumentarono di trenta mila unità, ma alla stessa velocità aumentarono le tasse sull’industria del sake. Questo portò alla chiusura di molti degli stabilimenti da poco aperti, fino a scendere a otto mila unità complessive.

Esempio di lavorazione del sake
Antica stampa raffigurante la preparazione del sake

Molte di quelle fabbriche di sake rimaste in affari erano di proprietà di grossi proprietari terrieri, che sfruttarono anche la sovrapproduzione del loro riso per realizzare la bevanda, piuttosto che vederlo andare a male. Tra tutte le famiglie impegnate nella produzione, quella di maggior successo dell’epoca è in attività ancora oggi.

Durante il ventesimo secolo, la tecnologia di fermentazione del sake è cresciuta a passi da gigante. Nel 1904 il governo ha aperto l’istituto di ricerca per la produzione di sake e nel 1907 ha organizzato la prima gara di degustazione. I ceppi di lievito ora venivano specificamente selezionati e isolati per le proprie proprietà di fermentazione e al contempo sono stati introdotti i serbatoi in acciaio smaltato, più facili da pulire, duraturi e privi di problemi legati alla proliferazione dei batteri, a differenza delle botti in legno.

Questo cambiamento fu anche dettato dall’avidità del governo che, nonostante i fatti sui serbatoi di acciaio siano veri, spinse per la loro adozione e per la messa al bando dei barili in legno perché il sake preparato in quest’ultimi subiva un’evaporazione fino al 3%, che non avrebbe generato introiti nelle casse dello stato. Nel 1898 infatti la tassa sul sake generò quasi il 46% del reddito totale delle imposte al governo.

Il sake durante le grandi guerre

Un ufficiale dà del sake a un soldato prima di una missione
Un ufficiale dà del sake a un soldato prima di una missione (foto da Internet)

A causa della guerra russo-giapponese che si è svolta nel biennio 1904-1905, il governo bandì la produzione domestica del sake, chiamato doburoku (濁酒), in quanto non era soggetta a tassazione. La speranza era che la produzione e la vendita del sake commerciale sarebbero aumentate, portando ulteriori introiti nelle casse governative. La legge, tra l’altro, è tutt’ora in vigore.

Con l’avvento del secondo conflitto mondiale, la produzione del sake subì un brusco ma prevedibile calo. Il riso serviva come cibo per i soldati e le quantità utilizzabili per la produzione di alcolici erano molto ridotte. Molte industrie ne risentirono allora il governo tramite decreto permise l’aggiunta di alcol puro e glucosio alla miscela di riso, una tecnica già scoperta nel XVII secolo e che permetteva una resa anche quattro volte superiore. La quasi totalità del sake prodotto oggi si basa su questo procedimento, figlio di esigenze belliche.

Con la fine della guerra, il Giappone lentamente si riprese e così anche l’industria del sake. Negli anni ’60 però, con l’avvento sul mercato di nuovi concorrenti come birra, vino e superalcolici, il sake venne superato dalla birra per quanto riguardava il consumo. Era la prima volta che succedeva e segnò l’inizio del lento declino della produzione locale. Di contro, la qualità migliorò notevolmente.

Sake di qualità a livello globale

Bottiglie di sake
Moderne bottiglie di sake (foto da Internet)

Oggi la classificazione del sake conta moltissime tipologie diverse e anche la qualità delle produzioni è al suo massimo. Anche grazie a questo è iniziata la diffusione di questa bevanda su scala mondiale, per quanto riguarda la produzione, con fabbriche in Nord e Sud America, Cina, Australia e Sud-est Asiatico.

Purtroppo, nonostante alcuni produttori stiano tornando ai vecchi metodi produttivi e nel mondo il sake sia sempre più apprezzato e bevuto, gli introiti da esportazione dal Giappone potrebbero non bastare a mantenere viva l’industria, che è passata da più di 3.200 fabbriche alla fine degli anni ’70 a meno di 1.900 nell’ultimo decennio.

Ad ogni modo, per onorare questa bevanda, in Giappone il 1° ottobre è la giornata ufficiale del sake (日本酒の日, “Nihonshu no Hi”).