Il sake e l’alcol: quanti gradi ha il sake?

Una delle cose che si tende a non conoscere quando si parla del sake, è il suo grado alcolico. A causa del suo servizio spesso erroneo (caldo quasi bollente a fine pasto nei ristoranti orientali) non si riesce bene a comprendere la bevanda che si sta sorseggiando.

Quella cosa da donne che si beve caldo dopo il sushi? Quanto ha, 5° gradi?

E via a spiegare…

Al contrario di quanto si possa pensare, a parte il fatto che come abbiamo spiegato qui la temperatura ideale per il sake non è necessariamente elevata, il tasso alcolemico del sake non è così basso come può sembrare. Anzi, tra le bevande fermentate (ed esempio vino e birra) il sake è quello col grado alcolico più alto di tutti.

I gradi alcolici del sake

Innanzitutto spieghiamo come viene misurata la gradazione alcolica del sake: dato un sake alla temperatura di 15°, il numero di parti in volume di alcol etilico viene calcolato sulla quantità contenuta in 100 ml di liquido. Tra l’altro, la definizione “gradazione alcolica”, che usava come unità di misura i gradi Gay-Lussac, sta venendo sostituita da “titolo alcolometrico”, misurato in percentuale.

Ad ogni modo, quanto è il grado acolico del sake? In genere troviamo sake con ABV (alcohol by volume, o titolo alcolometrico) tra il 15-16% (15-16 ml di alcol ogni 100 ml di sake) ovvero poco sopra il livello dei vini. Esistono però altre tipologie di sake che spingono questa percentuale sia verso il basso che verso l’alto, cosa che lo rende appetibile a molti palati.

Alcuni sake dal basso grado alcolico, o semplicemente i sake frizzanti, si aggirano sull’8-10% ma non è raro trovarne anche al 5-6%. I sake non diluiti invece hanno una gradazione maggiore rispetto a quelli più comuni, in quanto nel processo di produzione non viene aggiunta acqua per abbassarne il volume di alcol presente.

Questi sake, i genshu (原酒), non sono diluiti e l’ABV è in media pari al 18-21%, ma non può mai superare il 22%.

Non più di 22% di alcol per il sake

Perché questo limite? I motivi sono due, uno dovuto ai lieviti e uno dovuto alle leggi giapponesi.

I lieviti usati durante la produzione di sake solitamente iniziano a morire se il volume sale oltre il 20%. Come sappiamo, il lievito serve a convertire lo zucchero in alcol ma se raggiunto il 20% di alcol il lievito muore, il volume difficilmente potrà essere più alto.

Per quanto riguarda le leggi invece, la Liquor Tax Law giapponese decreta che il seishu (清酒) per definizione, è sake solo fino a un volume di alcol del 22%, dopodiché non è più riconosciuto tale in termini di legge ma diventa un liquore. Questo limite è stato fissato nel 2006 e questa riforma ha anche cambiato la tassazione: su una bottiglia di sake da 1,8 l il produttore paga di 216 yen di tasse allo stato. In precedenza la tassazione per 1,8 l di sake a 15% era di 253 yen, con 17 yen aggiuntivi per ogni 1% in più di volume alcolico. Questo ha fatto sì che i produttori eccedessero molto raramente in sake dalla gradazione più alta e ne stabilissero in un certo senso la gradazione tipo.

I vantaggi della doppia fermentazione

Il merito di gradazioni alcoliche più elevate tra i fermentati è dovuto alla doppia fermentazione tipica del sake. Difatti per produrre più alcol serve più zucchero, che i lieviti convertono, ma una quantità eccesiva ucciderebbe i lieviti, fermando così il processo.

Grazie alla doppia fermentazione, dove l’amido viene convertito in zucchero e lo zucchero viene contemporaneamente convertito in alcol, si ottiene un perfetto equilibrio tra gli elementi, consentendo così di raggiungere volumi di alcol più alti rispetto a quelli del vino.

L’aggiunta di alcol al Sake

Sappiamo che uno degli ingredienti del sake, anche se non obbligatorio, è l’alcol. La sua presenza distingue il sake premium in due categorie, Junmai (純米, puro riso) e Honjozo (本醸造). Ma perché aggiungere alcol al sake se questi non serve ad alzarne il titolo alcolometrico né si può produrre una bevanda oltre il 22% che sia ancora per legge sake?

L’alcol nel sake vene aggiunto subito dopo la fase di fermentazione, quando il moromi è pronto. In questo punto della preparazione, lo step successivo è quello di pressare la massa ottenuta per separare la parte liquida da quella solida. L’alcol viene aggiunto prima della pressatura, chiamata joso (上槽), perché agendo come un solvente fa sì che i chicchi e la massa solida rilascino ancora aroma e fragranza del riso, a vantaggio del liquido che si estrarrà pressando il moromi.

Quindi l’aggiunta di alcol è al solo fine di migliorare il gusto finale, non innalzarne il volume presente.