Uno dei criteri con il quale si tende a scegliere di bere un alcolico rispetto a un altro, è a seconda se è secco o dolce. Questa cosa vale anche per il sake quindi identificare un sake secco da un sake dolce e capirne le differenze può essere un punto di partenza per bere qualcosa di più affine ai proprio gusti, o magari per esplorare nuovi territori.
Se tutti fossimo in grado di leggere correttamente le etichette dei sake (e se tutte ne fossero provviste…) potremmo identificare alcuni kanji che identificano la tipologia di sake: 辛口 (karakuchi, ovvero secco) e 甘口 (amakuchi, ovvero dolce). 超辛口 (chō karakuchi), 極辛 (goku-kara) e 激辛 (geki-kara) significano “molto secco”, altra caratteristica che non è insolita trovare nei sake, soprattutto rispetto alla variante “molto dolce”.
Col fatto che indicare se uno sake è secco o dolce non è una dicitura obbligatoria nelle etichette, a volte anche saper individuare i kanji relativi non serve a niente, quindi dobbiamo affidarci ad altri fattori: l’SMV e il valore di acidità.
Il valore sakimetrico, l’S.M.V.
Per stabilire se un sake è secco o dolce bisogna innanzitutto calcolare il rapporto tra il suo contenuto di zucchero e la percentuale di alcol presente, e questo si fa con l’SMV, che sta per Sake Meter Value. In italiano possiamo chiamarlo valore sakimetrico mentre in giapponese è nihonshudo (日本酒度).
Per chi non ha mai sentito prima parlare di valore sakimetrico o SMV, tenterò di spiegarlo in maniera più chiara possibile.
La scala SMV misura la gravità specifica del sake ovvero, alla temperatura specifica di 15 ° per il sake, questo è più o meno pesante dell’acqua alla sua temperatura specifica di 4 °. Un valore elevato di SMV significa che il sake è più leggero dell’acqua, un valore basso significa che è più pesante. La differenza di peso nel sake è data dallo zucchero rimasto nel processo produttivo, che ha un peso maggiore rispetto all’alcol.
La scala dell’SMV va da un valore di -15 a un valore di +15, dove il valore negativo indica un sake dolce, mentre uno positivo indica un sake secco. Quindi, se cerco un sake dolce, dove il contenuto di zucchero è maggiore, ne vorrò uno con un SMV negativo o il meno possibile nella scala positiva. Di contro, se ne cerco uno secco, andrò a cercare l’etichetta dove trovo un valore SMV sopra lo zero.
Tutto qui? No, ovviamente si parla di Giappone e giapponesi, quindi le cose si complicano 🙂
Come abbiamo visto tra le nostre categorie di sake, quando si parla di sake senza alcol aggiunto ci riferiamo ai junmai, mentre quelli senza acqua aggiunta sono i genshu.
Quando si aggiunge alcol, il peso specifico diminuisce e l’SMV aumenta. Quando si aggiunge acqua, il peso specifico aumenta e l’SMV diminuisce. In entrambi i casi, però, la quantità di zucchero non cambia. Ci troveremo quindi di fronte a sake il cui valore sakimetrico non corrisponde al gusto dolce o secco…
Ecco perché entra in gioco un altro fattore nel determinare il gusto del sake, ovvero l’acidità.
L’acidità del sake
Come abbiamo appena visto, essere a conoscenza solamente del valore sakimetrico di un sake non ci permette di capire appieno se quello che stiamo per bere è un sake secco o un sake dolce. Quindi dobbiamo mettere in campo un altro fattore, l’acidità.
L’acidità è un indicatore della quantità di acido contenuto nel sake. Il sake giapponese infatti contiene diversi acidi tra cui l’acido malico, l’acido succinico e l’acido lattico e questi influiscono in maniera molto evidente sul gusto finale. Una maggiore acidità stimola maggiormente la lingua e il sake viene percepito come secco. Se invece l’acidità è poca, il gusto è più dolce. Attenzione però a non confondere l’acidità con l’idea di aspro, in realtà nel sake si intende un gusto più ricco e rotondo.
Detto questo, abbiamo finalmente tutti i dati necessari per determinare secchezza o dolcezza di un sake? No!
Se, ad esempio, abbiamo un sake con S.M.V. +1, sarà equilibrato nel rapporto secco/dolce, ma se venisse aggiunto dell’acido lattico, il gusto sarà più secco. Se invece il sake è fruttato, al palato sarà più dolce.
Quindi come per il valore sakimetrico, sapere solamente il valore di acidità del sake non lo incasella necessariamente in un range specifico di gusto.
Inoltre, più caldo è il sake, più è dolce (l’alcol evapora a temperature relativamente alte) quindi anche qui ci troviamo di fronte ad altre variabili che non fanno che confonderci le idee (temperatura di servizio del sake).
Il grado di dolcezza del sake: l’amakarado
Per cercare di venire incontro alle difficoltà nel capire il gusto del sake, nel 1974 la Nippon Jōzō Gakkai introdusse una nuova scala, la shin amakarado (新甘辛度, nuova scala amakara, da amai che significa dolce e karai che significa secco).
Questa scala si basa sulla quantità di glucosio e l’acidità in millilitri, e si calcola con una formula specifica, che nessun produttore riporterà mai sull’etichetta.
I risultati del calcolo (che dovrai fare per conto tuo!) determinano il tipo di gusto del sake e sono i seguenti:
- Secco: shin amakarado ≦0.2
- Leggermente secco: 0.3≦ shin amakarado ≦1.0
- Leggermente dolce: 1.1≦ shin amakarado ≦1.8
- Dolce: 1.9≦ shin amakarado
Con tutte queste nozioni alla mano, inizia a diventare più semplice capire la tipologia di sake prima di comprarlo o berlo. Capire il valore sakimetrico, l’acidità e la scala amakara sono senza dubbio d’aiuto ma alla fine, siamo onesti, l’unico vero giudice è la nostra bocca.