L’ascesa del sake negli Stati Uniti

Sappiamo benissimo che se parliamo di sake ci riferiamo al Giappone, ma a livello mondiale non sono loro gli unici produttori di sake. Come ci diceva John Gauntner nell’intervista che ci ha rilasciato tempo fa:

Gli Stati Uniti non hanno una lunga tradizione per quanto riguarda i vini (o qualsiasi altra cosa) come l’Europa, quindi culturalmente sono più aperti a provare tutto, ed è questo uno dei motivi per cui il sake è letteralmente decollato.

In effetti la prima azienda produttrice di sake degli USA è stata aperta nel 1908 nelle Hawaii (anche se ancora non annesse ai territori americani) e dopo la seconda guerra mondiale i soldati che erano stati in Giappone iniziarono a parlarne una volta tornati a casa, dopo che si erano abituati al sake nel periodo bellico.

Questo nuovo interesse per l’alcolico giapponese per eccellenza spinse col tempo a investire nell’apertura di altri sakagura (le “fabbriche” del sake) tra gli anni 70 e 80, come i californiani Ozeki e Takara, oppure ad aprire sedi su suolo statunitense di aziende nipponiche, come Gekkeikan.

Texas Sake Company Junmai
Texas Sake Company Junmai

Ma fu dagli anni 90 che l’interesse per il sake decollò.

Prima la situazione era simile a quella italiana: sake caldo, di bassa qualità, offerto a fine pasto in qualche ristorante orientale. Data l’ignoranza rispetto al prodotto, spesso se non piaceva significava che tutti i sake non piacevano. Un po’ come assaggiare la birra del discount e dire che la birra non piace.

La difficoltà era dovuta anche al fatto che i sake importati avevano spesso prezzi molto alti e le etichette incomprensibili non ne agevolavano la diffusione. Perché spendere decine di euro/dollari  per non capire nemmeno da che parte si legge quello che c’è scritto sulle bottiglie? Il sake era perfetto solo per il sake bomb, un cocktail dove uno shot di sake caldo viene “sganciato” dentro un boccale di birra. Roba che i giapponesi nemmeno sanno che esiste.

SakeOne
SakeOne

Con gli anni però la cultura del cibo si è affinata in generale e così quella per il cibo giapponese. Logica conseguenza è stata una crescente curiosità verso un alcolico che ben si sposa col pesce crudo ma non solo, scoprendosi versatile praticamente con ogni pietanza.

Dal 1994 gli Stati Uniti hanno fatto registrare un aumento di vendite di sake dell’8% ogni anno, ma solo dai primi anni del XXI secolo sono approdati maggiormente sul mercato prodotti di qualità, spinti anche del fiorire di sushi bar in centri nevralgici come Manhattan. Con la crisi del 2007 c’è stata una battuta d’arresto, ma poi le vendite sono continuate a salire e oggi l’89% del sake importato negli USA è sake premium.

Alcuni piccoli sakagura sono nati in diversi stati, inizando a produrre sake di qualità come la Texas Sake Company (solo da riso 100% bio) o SakéOne (che produce esclusivamente junmai ginjo), fino ad arrivare al 2008, l’anno in cui Blake Richardson ha aperto a Minneapolis il Moto-i, probabilmente il primo sakagura-pub d’America, che produce e vende direttamente dal bancone 20 mila litri di sake l’anno.

Dovetail sake
Dovetail Sake e i vari step della produzione

Quindi, mentre in un paese come il Giappone il sake è ormai visto come drink da “vecchi matusa” e la birra va per la maggiore, le nuove generazioni americane stanno scoprendo la gioia di una bevanda millenaria, imparando la cultura che c’è dietro e diffondendo il sapere anche tramite l’apertura di nuove realtà commerciali o proponendo nei ristoranti abbinamenti col cibo non più ad esclusiva del vino.

“Certo, – come dice Todd Bellomy di Dovetail Sake – il nostro sake non sarà ai livelli di quello di produttori che lo fanno da secoli, ma almeno per berlo ti basta fare 10 chilometri e non 10 mila“, con un gran vantaggio in termini di freschezza del prodotto.